Il Cross. La madre di tutte le discipline.

Il Cross. La madre di tutte le discipline.

Giorgio Rondelli

Articolo, a firma di Giorgio Rondelli, sulla corsa campestre, una specialità dal fascino straordinario e formativa come nessun’altra prova di fondo e mezzofondo. Tuttora parte integrante sia del processo formativo giovanile di tutti i mezzofondisti sia del programma di allenamento di ogni futuro campione della corsa di resistenza.

Abstract

Una disciplina tipica del periodo che in passato era utilizzata anche da atleti su pista per perfezionare l’allenamento. Definita anche come specialità della 3 effe, fango, fatica e freddo. Nell’ultimo periodo è dominata dagli atleti africani. Come preparare le gare e le modalità di allenamento.


Alzi la mano chi, frequentando la scuola superiore di primo o secondo grado, non abbia partecipato, magari con ben poco coinvolgimento emotivo, a una gara scolastica di corsa campestre. Per qualcuno come il sottoscritto, già molto avanti con gli anni, sono ricordi da foto in bianco e nero che rimangono sempre vivi nella memoria.

Il cross country

Specialità straordinaria la corsa campestre. Per gli inglesi “cross country”, specialità che rimane, a mio avviso, una parte integrante sia nel processo formativo giovanile di tutti i mezzofondisti, sia nel programma di allenamento dello specialista della corsa campestre e di ogni futuro campione della corsa di resistenza. Specialità formativa come nessun’altra nelle prove di fondo e mezzofondo. Dove non si corre con un occhio al cronometro, ma soltanto nella logica feroce dell’uomo contro uomo. Chi non ha cuore, chi si spaventa quando sulla riga di partenza sono schierate alcune centinaia di avversari e occorre partire già con il cuore in gola non è adatto al cross. Così come chi patisce il freddo, i percorsi con salite e discese, il fango e magari anche la neve ghiacciata. Un grande giornalista come Oscar Eleni definì il cross come la specialità delle tre effe: fango, freddo, fatica. L’assoluto naturale contro l’asettico mondo dell’atletica indoor. Come mettere di fronte una grande armonia di musica classica a qualche brano modaiolo da discoteca. Al di là di essere uno straordinario palcoscenico di approccio alla pratica dell’atletica in età giovanile e scolastica, la corsa campestre è sicuramente una disciplina in cui eccellono gli specialisti della corsa sui prati. Sia come caratteristiche e predisposizione naturali, sia come preparazione specifica. Non a caso, guardando la recente storia del cross a livello mondiale, troviamo due fuoriclasse come il keniota Paul Tergat e l’etiope Haile Gebreselassie che lo hanno frequentato con risultati opposti. Il primo ha vinto ben cinque titoli mondiali, il secondo ha abbandonato la corsa campestre già nel 1996, non riuscendo a esprimere sui prati tutto il suo talento di fuoriclasse della pista. Colpa, si fa per dire, della sua straordinaria elasticità che non poteva esaltarsi sui terreni soffici e poco reattivi come sui compatti manti delle piste sintetiche.

Il cross delle Nazioni

Lo storico cross delle Nazioni, competizione per squadre nazionali nata nel 1903 in Gran Bretagna, poi diventata Campionato Mondiale di Cross nel 1973, per decine di anni grande vetrina per i fondisti di tutti i continenti, ha perso vitalità poco alla volta e attualmente è diventata una rassegna quasi per soli atleti africani. Totalmente evitata da tutti gli altri paesi mondiali in quanto i propri atleti vi figurerebbero solo con il ruolo di comparse. Da qualche anno addirittura il Campionato Mondiale di Cross è diventata manifestazione che viene disputata con scadenza biennale. Un peccato, ma risultati alla mano lo strapotere degli atleti del continente nero nella corsa campestre è diventato, anno dopo anno, sempre più imbarazzante. Più forti sono l’aspetto genetico e organico, più abituati a vivere e ad allenarsi su meravigliosi percorsi naturali, gli atleti africani in genere non hanno rivali nella corsa campestre, dove possono esprimere al meglio la propria meravigliosa istintività. Africani pigliatutto insomma, su quasi tutti i tipi di terreno. Un po’ meno devastanti su percorsi molto fangosi o innevati. Perché, contrariamente a quella che è una credenza comune, sui percorsi dove la velocità di corsa è rallentata si esprimono meglio, in percentuale, gli atleti più forti sul piano muscolare, rispetto a quelli più performanti su quello organico. Ecco perché, soprattutto in passato, si sono avuti risultati a sorpresa in qualche corsa campestre disputata su terreni pesanti, in cui hanno fatto molto bene alcuni mezzofondisti veloci, rispetto a quelli prolungati. A velocità più basse la forza muscolare può spesso riequilibrare i valori in campo. A ritmi elevati sin dall’inizio invece la componente organica risulta sempre vincente.

Giochi Olimpici

Da qualche tempo si parla anche di far diventare la corsa campestre specialità olimpica come avveniva all’inizio del secolo scorso. Idea che, a mio avviso, lascia il tempo che trova. Onestamente non se ne vedono le finalità e soprattutto il riscontro agonistico che non fosse una sorta di ripetizione degli attuali Campionati del Mondo. Che come detto sopra, sono sempre più svalutati e disertati. Stante questa situazione, nel 1994 sono stati varati i primi Campionati Europei di corsa campestre per offrire spazio e visibilità anche agli atleti continentali. Operazione che non ha prodotto riscontri tecnici particolarmente significativi. A parte ovviamente la distribuzione delle medaglie ai primi arrivati. Meno ancora significativa sul piano tecnico l’introduzione della categoria under 23 avvenuta nel 2006 a San Giorgio su Legnano. Di cui onestamente non se ne capisce la finalità. Per certi versi, l’introduzione dei campionati europei che vengono sempre disputati nella prima metà del mese di dicembre è risultata addirittura dannosa per chi vuole sviluppare una preparazione invernale di più ampio respiro. Come avveniva, con i grandi risultati che sappiamo negli anni ‘70-80 e ‘90. In primis in Italia.

Il cross country come verifica organica

Fisiologicamente la corsa campestre si può inserire fra le specialità del mezzofondo prolungato, vedi i 5.000 e i 10.000 metri, ma la grande differenza con le gare in pista ne rimane l’imprevedibilità. Imprevedibilità figlia diretta dei vari terreni di gara che possono essere sconnessi, fangosi, morbidi, ma anche innevati o sabbiosi. Con ostacoli naturali o artificiali. Una sorta di “roulette russa” della corsa a piedi. Certamente nessuna specialità come il cross può far toccare con mano a un atleta e al suo allenatore quali siano stati i miglioramenti raggiunti sotto il versante della potenza aerobica. Il riscontro è praticamente immediato. Se nell’ambito della preparazione invernale le tre velocità fondamentali della potenza aerobica cioè i lavori sul fondo medio (da 10 a 20 km), quelli sul fondo veloce (da 2 a 3 x 4.000 o 5.000 m) e infine le prove ripetute lunghe, (dai 1.000 ai 3.000 m) sono stati migliorati in modo significativo, ecco che una gara di cross ne darà subito conferma. Nel mio primo triennio di lavoro con Alberto Cova, cioè nel 1980, 1981, 1982, vi fu un notevole incremento progressivo dei suoi valori di potenza aerobica. La conferma l’avemmo puntualmente nei tre successivi Campionati del Mondo di cross, dove Alberto arrivò rispettivamente 109°, 59° e 7°. Nello stesso anno del settimo posto conquistato nel 1982 a Roma, vinse poi il titolo europeo sui 10.000 metri ad Atene. Lo stesso percorso fu attuato con Francesco Panetta, che già nel 1984, dopo il terzo anno di allenamento in comune, conquistò un brillante decimo posto ai mondiali di New York.

Gli allenamenti per la corsa campestre

Sviluppo della potenza aerobica a parte, come ci si può allenare per essere competitivi nella corsa campestre? Certamente su percorsi erbosi e ricchi di difficoltà naturali. Magari allestendo dei mini-circuiti ad hoc in cui l’atleta è chiamato a “interpretare” il tracciato e soprattutto ad adattare la sua meccanica di corsa alle caratteristiche del terreno. Dall’entrata e uscita dalle curve più insidiose, da come affrontare un tratto in salita o discesa, dal tipo di falcata da utilizzare. Certamente il grande specialista del cross ha come dote naturale la capacità di riuscire a gestire la propria andatura in ogni tipo di situazione. Proviamo invece ad entrare nello specifico della preparazione del cross.

Potenza aerobica

Per quanto riguarda il fondo medio e quello veloce, che sono comunque distanze mai inferiori ai 4 o 5 km, sono da preferirsi i percorsi collinari, oppure in sterrato. Ma anche su strada, per un atleta allenato, non ci sono problemi di sorta.

Ritmi gara

Per quanto riguarda invece i ritmi gara più lunghi, dai 1.000 ai 3.000 m, diventano fondamentali i percorsi erbosi che devono essere misurati con attenzione in modo da verificare la velocità al km. Sempre su percorsi erbosi possono trovare spazio il fartlek, l’interval training e le prove ripetute corte comprese fra i 500 e i 300 m, con brevi pause di recupero. Naturalmente con l’uso delle calzature chiodate. Che vanno provate in sedute con carichi di lavoro non troppo intensi e prolungati, soprattutto per chi non ne fa quasi mai uso durante tutto il resto della stagione.

Pista

Non è da escludere neppure l’utilizzo di qualche sessione finale di rifinitura in pista per dare un tocco di brillantezza alle gambe prima di un importante appuntamento agonistico. Soprattutto se si prevede che il terreno di gara sarà molto veloce. Tante variabili per una specialità come il cross. Che è variabile e non classificabile per natura.