Abstract
L’approccio metodologico scientifico al mondo dello Snowboard è complesso per la carenza di studi specifici, mancata ricerca in ambito fisiologico e tantomeno scarsa descrizione del modello prestativo. Per avere un approccio metodologico nella preparazione fisica è necessario studiare le caratteristiche intrinseche del gesto tecnico e osservarne le peculiarità biomeccaniche. La presenza di calzature rigide provoca differenze nei movimenti tra le due discipline olimpiche, Snowboard Cross e lo Snowboard Alpino, rispettivamente caratterizzate da scarponi “soft” e “hard”.
Nella scelta degli esercizi da proporre agli atleti è necessario considerare i movimenti specifici che questi sono chiamati a compiere durante un’azione di gara. Il profilo biomeccanico dei movimenti può essere descritto secondo il criterio della “dominanza articolare”, individuando l’articolazione che compie l’escursione di movimento alla quale si può attribuire il maggior contributo nella produzione del vettore di forza durante un esercizio o i movimento degli arti inferiori. Da qui alcuni spunti pratici inerenti agli esercizi base di sviluppo della forza.
Un contesto inesplorato
La prima difficoltà che si incontra quando ci si addentra nel mondo dello snowboard è proprio la raccolta informazioni, e non stupisce constatare una certa scarsità di lavori strettamente inerenti a questo mondo. Per fornire qualche dato numerico, la ricerca della parola snowboard mostra circa 170 risultati, che si riducono a solamente 58 se si escludono i termini riferiti a injuries e fractures. Questo dato è di importante rilevanza se si considera che almeno due terzi degli studi che hanno osservato lo sport dello snowboard riguardano infortuni o eventi lesivi in genere, piuttosto che analizzarne la prestazione. Addentrandosi nel terzo rimanente si scopre che lo snowboard è inserito in studi che analizzano ad esempio gli effetti ottenibili dalla generale e afinalistica esposizione in quota (Okazaki et al., 1985). Essendo annoverabile nelle fila degli sport di scivolamento ad alto coefficiente di complessità coordinativa, lo si ritrova in lavori inerenti al controllo propriocettivo e dell’equilibrio (Wolpert DM et al., 2011), piuttosto che parte di studi più ampi dove gli atleti adolescenti praticanti snowboard hanno preso parte a ricerche circa l’effetto di training pliometrico (Bogdanis et al., 2019) o l’applicazione a lungo termine di stretching statico (Donti et al., 2017). Menzione d’onore (che per pudore non avranno citazione bibliografica) meritano un interessante case-report circa gli sconvenienti esiti di una caduta durante discesa con snowboard a sole due settimane da un intervento di chirurgia plastica di aumento del seno, la progettazione di una tavola da snowboard per giocare con una console di videogiochi e, ultimo, l’interessante comparazione tra i praticanti di sport con una marcata dominanza tra arti inferiori come surf, skateboarding e snowboard e la preferenza di appoggio sull’arto dominante osservata nel Falco Pescatore.
In preda a uno slancio ottimistico è possibile sfruttare gli argomenti sopra per trarre delle considerazioni operative. Il fatto che sia uno sport praticato in montagna prevede che la quota eserciti un’influenza sulla prestazione e quindi sulle proposte allenanti. La dominanza tra gli arti inferiori è un dato inequivocabile che merita di essere approfondito in sede di valutazione antropometrica e fisica dei singoli atleti. Gli aspetti inerenti all’apprendimento e sviluppo di qualità propriocettive e coordinative, soprattutto in età adolescenziale, assumono una rilevanza sostanziale considerando la complessità del gesto. Gli studi che inseriscono lo snowboard nelle osservazioni degli effetti di allenamenti delle qualità neuromuscolari suggeriscono chiaramente come parte delle proposte di sviluppo fisico e allenamento della forza debbano inevitabilmente comprendere stimoli ad alta intensità ed elevati livelli di reclutamento muscolare. Infine, essendo uno sport che si svolge in condizioni di scivolamento, pendenza e alta velocità, le qualità cognitive di analisi e adattamento alla situazione si rivelano parte integrante della qualità della prestazione di allenamento e gara.
Fatte queste premesse, è evidente quanto possa essere complesso l’approccio metodologico al mondo dello snowboard, sia per mancanza di dati e studi in merito, sia per la complessità e specificità del gesto tecnico, che suggerirebbero una certa inefficacia di qualunque proposta di allenamento lontana dal contesto reale di lavoro. In effetti vi è da chiedersi quanto possa essere efficace allenare nel contesto di una palestra o pista d’atletica uno sport che prevede di scivolare sulla neve con direzione laterale, vincolati a una tavola governata grazie all’inclinazione antero-posteriore del corpo e all’azione degli arti inferiori, su un pendio con pendenze variabili ed eseguendo curve, salti e atterraggi così come imposto da una tracciatura di gara. La risposta è presto detta, ed è ovviamente affermativa.
Lo snowboard prevede la somministrazione di esercitazioni strettamente connesse all’equilibrio bipodalico e monopodalico, finalizzate ad aumentare il controllo motorio sia per quanto riguarda la capacità di modulare la distribuzione laterale del carico, sia per aumentare le qualità di equilibrio strettamente demandabili alla percezione della base d’appoggio e degli stimoli afferenti dagli arti inferiori.
Benché lo snowboard possa sembrare un gesto fortemente asimmetrico per via della posizione del surfista che prevede un arto sempre posto anteriormente, le differenze di forza tra gli arti inferiori non raggiungono un’entità significativa (Vernillo et al, 2016). Ciononostante, sono necessarie due considerazioni in merito. La prima riguarda l’approccio metodologico in presenza di sport dove il gesto tecnico esercita uno stimolo asimmetrico, per il quale è necessario favorire uno sviluppo fisico che sia completo nella simmetria dei valori condizionali e coordinativi, dal momento in cui il lavoro tecnico reiterato genererà comunque preferenze di movimento e asimmetrie morfo-funzionali. La seconda riguarda espetti della contrazione muscolare. I movimenti e i regimi di contrazione durante una discesa con lo snowboard sono differenti tra gli arti inferiori. Semplificando, è possibile affermare che l’arto anteriore è sottoposto a un regime fortemente tendente all’isometrico mentre quello posteriore esercita la sua funzione in modo dinamico. Queste differenze tecniche suggeriscono che variare le esperienze tra differenti regimi di contrazione, piuttosto che un potenziamento delle qualità somestesiche e cinestesiche, sia di grande priorità soprattutto durante gli anni di formazione e costruzione in età adolescenziale.
L’importanza degli attrezzi
La scienza dell’allenamento e la ricerca nel mondo dello snowboard hanno approfondito poco le caratteristiche fisiologiche del modello prestativo. Ciononostante, l’analisi biomeccanica del gesto tecnico consente un approccio metodologico fatto di scelte ben specifiche, soprattutto per quanto riguarda i mezzi di allenamento, ovvero gli esercizi proposti.
All’interno di uno sport, differenti discipline possono mostrare caratteristiche così reciprocamente lontane da imporre differenziazioni nell’approccio metodologico della preparazione fisica. Nello snowboard questa distinzione è necessaria se si considerano le attrezzature indossate dagli atleti. Nello specifico ci si riferisce alle due discipline olimpiche dello snowboard cross e snowboard alpino. La scelta delle esercitazioni per lo sviluppo fisico da proporre agli atleti delle due discipline deve derivare da un’attenta analisi biomeccanica del gesto tecnico, delle dominanze articolari e dell’impegno differente delle catene cinetiche muscolari. Diverso è l’argomento intorno alle proposte di allenamento di tipo cognitivo e coordinativo, che invece possono essere simili a discrezione dei professionisti interessati.
Premettendo che le differenze tra i due sport sono molteplici a partire dalla tipologia di tracciato e dalle caratteristiche intrinseche del gesto tecnico (nel primo il tracciato prevede alternanza di tratti rettilinei, curve e salti, il secondo è sviluppato su un tracciato dove si effettuano curve ad alta velocità), la semplice osservazione degli scarponi (foto 1) utilizzati dagli atleti difatti mostra differenze così peculiari da meritare di essere descritte nello specifico visto che sono la causa primaria delle differenze tecniche tra le due discipline.
In uno scarpone soft il gambaletto concede un’ampia escursione di movimento delle caviglie. La sua struttura deformabile permette allo snowboarder di esplorare un range articolare maggiore in flessione plantare e soprattutto dorsale di caviglia. Nello scarpone hard, come è facilmente intuibile osservandone la struttura esterna rigida, l’escursione della caviglia è limitata e oltretutto governata da molle poste esternamente alla calzatura che rendono quasi immobile l’escursione tibio-tarsica.
La dominanza articolare
Nel vocabolario del movimento umano si distinguono il concetto di squat e quello di hinge. Sono entrambi movimenti eseguiti con gli arti inferiori e, sebbene richiamino facilmente gli esercizi di squat (propriamente detto) e deadlift, essi rappresentano i movimenti base che possono essere eseguiti con gli arti inferiori.
Il movimento di hinge si traduce in italiano col concetto di “cardine”, mentre lo squat è traducibile con “accovacciamento”. Già dalla traduzione è possibile intuire come, tra i due movimenti, squat richiami l’avvicinamento e allontanamento del baricentro al suolo esprimendo un vettore maggiormente verticale mentre hinge, viceversa, esprime un vettore orizzontale. Nel dettaglio, Il movimento di hinge genera la traslazione in direzione postero-anteriore del bacino facendolo “galleggiare” quasi parallelamente al suolo (figura 1).
La distinzione di questi due movimenti è indispensabile se si vuole comprendere e allenare la produzione di un vettore di forza, sia che questo rappresenti la componente essenziale di un gesto tecnico-sportivo (come la pesistica olimpica o la partenza di uno sprinter da blocchi) o sia un’abilità di un gesto tecnico, come l’assorbimento monopodalico delle forze di reazione al contatto col suolo durante un cambio di direzione.
Il concetto di dominanza articolare consente di descrivere quale articolazione compie l’escursione di movimento alla quale si può attribuire il maggior contributo nella produzione del vettore di forza durante un esercizio o movimento degli arti inferiori. Un esercizio a dominanza di ginocchio recluta maggiormente i muscoli estensori di quest’ultimo, mentre un esercizio a dominanza d’anca sposta il bilancio della sinergia muscolare a carico della muscolatura estensoria della stessa. E’ importante sottolineare che il concetto di dominanza articolare non esclude determinati gruppi muscolari dal lavoro svolto dagli arti inferiori, ma altresì identifica nel bilancio del reclutamento della muscolatura sinergica per un determinato movimento, quella a cui è richiesto un maggior contributo in fatto di produzione del vettore di forza complessivo.
Modello prestativo biomeccanico
Le differenze salienti tra le tecniche espresse dagli atleti delle due discipline sono un differente angolo di flessione delle ginocchia e l’inclinazione della tavola rispetto al suolo in fase di curva. Nello snowboard cross, l’angolo delle ginocchia è maggiore rispetto allo snowboard alpino (foto 2). Ne consegue una posizione maggiormente “chiusa” negli angoli articolari dell’arto inferiore e un’inclinazione maggiore del tronco rispetto al suolo. Questo gesto tecnico presenta quindi una grande dominanza di ginocchio e un reclutamento massivo della muscolatura estensoria di quest’ultimo, unitamente a una sinergia tra le catene cinetiche muscolari a carico soprattutto di quella anteriore.
Il gesto tecnico nello snowboard alpino, invece, necessita di movimenti differenti dall’accosciata (squatting) visto che quest’ultima non può contare della doverosa escursione tibio-tarsica propria di questo gesto. Se con uno scarpone soft l’azione dello snowboarder può paragonata a uno squat, con una calzatura hard la stessa è più prossima al movimento di hinge, ovvero una posizione in stazione eretta dove il movimento di flessione dell’anca predomina su quello del ginocchio durante la fase di caricamento degli arti inferiori. A causa di questi limitazioni di movimento un atleta di snowboard alpino è portato a sfruttare maggiori inclinazioni del corpo in toto col suolo per incidere con angoli più ampi con la tavola (foto 3).
La maggiore inclinazione della tavola col suolo, gli angoli articolari caratteristici e una maggiore stazione eretta provocano la tendenza a uno sbilanciamento anteriore del corpo nello snowboarder con scarpone hard, enfatizzando il carico sulla catena cinetica posteriore ed esigendo maggior controllo e modulazione della posizione del bacino (questa considerazione è applicabile anche nello sci alpino, ndr).
Biomeccanicamente questo si traduce nella necessità da parte di un hard-booter di possedere elevati valori di forza nella catena cinetica posteriore, doppiamente impegnata nel sostenere il corpo in caduta anteriore durante l’inclinazione della tavola in fase di curva e come primo motore per eseguire il movimento di hinge che sposta il bacino in direzione postero-anteriore, gestualità tecnica necessaria per accelerare in uscita di curva.
Non solo squat
In un periodo di muscolazione generale, cronologicamente lontano dalle competizioni, la proposta allenante si prefigge lo scopo di esercitare un time under tension (T.U.T.) con la finalità di produrre adattamenti inerenti all’aumento della tissue tollerance, la scelta dei mezzi di allenamento dovrebbe necessariamente vertere su esercizi di tipo compound, primi tra tutti gli esercizi di deadlift e squat (figura 2).
Stante quanto detto sopra, la scelta degli esercizi sarà comunque attinente alle peculiarità del modello biomeccanico di lavoro dello sport al quale ci si approccia, per cui è importante essere a conoscenza della dominanza articolare (e delle sinergie muscolari) di ogni variante ai due gold standard sopra citati.
Se lo scopo primario è aumentare la capacità di produzione del vettore di forza verticale sfruttando il movimento di squatting, la scelta dell’esercizio classico di back squat è considerato l’approccio corretto di cui nessuno nega l’efficacia. È possibile tuttavia scegliere di stimolare sinergie muscolari differenti enfatizzando il carico sulla muscolatura estensoria del ginocchio sfruttando il concetto di dominanza articolare e proponendo una variante della squatting position, il front squat (bilanciere posto anteriormente al collo in appoggio sui muscoli deltoidi). All’opposto, se si vuole stimolare una maggior dominanza di anca in un sollevamento con bilanciere posto sulle spalle, la scelta può ricadere su uno squat eseguito con il bilanciere sostenuto al terzo medio della scapola al di sotto delle masse carnose dei trapezi (low bar back squat). In figura 3 vengono mostrate le varianti della squatting position.
Qualora lo scopo fosse invece quello di stimolare maggiormente la catena cinetica posteriore, i sollevamenti dal suolo (famiglia del deadlift) si mostrano maggiormente efficaci. Il motivo di questa caratteristica consiste proprio nella posizione del bilanciere posto anteriormente al baricentro dell’atleta. Quando quest’ultimo inizia il sollevamento si genera uno sbilanciamento anteriore del corpo che necessita di essere contrastato, azione svolta peculiarmente dalla catena cinetica posteriore. Considerando ottimale l’esercizio del deadlift per insegnare o allenare gli atleti al corretto movimento di hinge, è comunque possibile modulare la dominanza articolare degli esercizi di sollevamento dal suolo sfruttando delle variabili. Quella maggiormente utilizzata in tempi attuali sembra essere la variante al deadlift eseguita con la trap bar, bilanciere dalla caratteristica forma esagonale. Questo esercizio ha acquisito grande risalto anche in relazione alla semplicità tecnica propria di questa modalità di sollevamento del bilanciere, in contrapposizione alla tecnica di deadlift ortodossa, maggiormente complessa. La ricerca di una maggiore dominanza articolare di ginocchio durante i sollevamenti che prevedono una prevalenza del gesto di hinge può essere inoltre soddisfatta dall’esercizio sumo deadlift. In questo caso, il passo dei piedi ampio e la presa del bilanciere interna agli arti inferiori (diversamente dal deadlift) consente di mantenere il busto maggiormente verticale rispetto al suolo spostando la sinergia muscolare di estensione degli arti inferiori a carico della muscolatura estensoria delle ginocchia (figura 4).
L’utilizzo di esercizi di tipo compound ad alto impatto metabolico e che coinvolgono in modo massivo i gruppi muscolari principali del corpo umano può essere una strategia di sviluppo della tissue tollerance, fattore indispensabile in previsione di cicli di muscolazione specifici sia per la forza massima che per lo sviluppo della potenza. L’analisi del gesto tecnico osservato con i criteri della biomeccanica di movimento permette di proporre esercizi con dominanza articolare di ginocchio ad uno snowboarder praticante snowboard cross, come ad esempio sumo deadlift e front squat. Con gli stessi criteri, riservare dei deadlift convenzionali e back squat eseguiti con tecnica low bar ad atleti praticanti snowboard alpino si dimostrerebbe più specifico in relazione al “modello prestativo biomeccanico” proprio di questa disciplina sportiva.I concetti di dominanza articolare possono essere mutuati anche durante gli anni adolescenziali, dove il corpo deve esplorare la maggior parte delle sinergie muscolari, soprattutto a scopi cognitivi e di controllo motorio. Infine, qualora il contesto di lavoro veda impegnati atleti con necessità di enfatizzare o minimizzare il carico di lavoro su specifiche articolazioni o muscoli, l’approccio alla scelta degli esercizi da proporre sfruttando anche i concetti di dominanza articolare permette di ottenere maggior specificità dello stimolo, nel rispetto della precauzione al sovraccarico, al train around the pain, oppure nella ricerca del massimo stimolo specifico per un distretto corporeo degli arti inferiori.