Il polso del tennista

Il polso del tennista

Abstract

Il polso del tennista è parte di una catena cinetica prossimo-distale che consente all’arto superiore, integrato con le restanti strutture muscolo-tendinee coinvolte nel gesto atletico, di gestire la funzionalità dinamica mirata al raggiungimento del risultato sportivo. Tutto il corpo è ovviamente impegnato in questa funzionalità: ciascun distretto anatomico contribuisce in relazione a stabilità, efficienza e dinamica.


Il polso è una delle porzioni più sollecitate ed esposte alla possibilità di lesività acuta e, soprattutto, cronica (Pluim et al., 2006), che può costringere il tennista alla riduzione della propria attività e, in alcuni casi, a un lungo periodo di inefficienza agonistica. Le strutture coinvolte sono molteplici e la patologia invalidante può localizzarsi sia in singoli distretti tissutali (cartilagine, tendine, capsula, legamenti e più raramente osso nella sua integrità) sia, molto di frequente, coinvolgerne contemporaneamente più di uno in un quadro di interessamento pluridistrettuale (Rettig, 1994).

Le lesioni cartilaginee sono frequenti negli sportivi di lunga data, anche se spesso limitate a una degenerazione non sempre clinicamente evidente. I tendini costituiscono invece un distretto privilegiato per quanto riguarda l’insorgenza e la percezione di sintomi (quasi sempre a carattere doloroso), data la loro funzione sia stabilizzante sia cinetica, compresa in un ambito in cui agonismo e antagonismo funzionale si integrano per ottenere la maggior resa ed efficacia atletica possibile.

Le lesioni tendinee del distretto ulnare sono molto frequenti (estensore ulnare del carpo, flessore ulnare del carpo), seguite da quelle del flessore radiale del carpo; in misura molto minore altri tendini possono concorrere ai sintomi algici. Capsula articolare e strutture legamentose sono interessate con una localizzazione meno specifica, divenendo causa di instabilità (nella maggior parte dei casi di grado moderato ma percepita soggettivamente dal tennista durante il gesto atletico) a seguito di un sovraccarico cronico o di una prolungata errata gestione della tecnica esecutiva. Traumi acuti e importanti, sebbene più rari, possono condurre alla necessità di un approccio chirurgico artroscopico, o “a cielo aperto” nei casi peggiori, e sono talora legati a lesività ossea (quest’ultima di riscontro del tutto occasionale nell’attività tennistica).

Le sedi maggiormente coinvolte nel dolore al polso in questo genere di attività sportiva sono il complesso fibro-cartilagineo triangolare e l’estensore ulnare del carpo.

La lesione della fibrocartilagine triangolare

Una lesione della fibrocartilagine triangolare non è di facile diagnosi clinica. L’esordio della sintomatologia clinica può riconoscere un evento macro-traumatico, oppure può insorgere in maniera insidiosa con un quadro ingravescente, in assenza di franchi eventi traumatici.

La lesione può essere isolata o associata ad altre patologie del polso. L’anamnesi può evidenziare un trauma in rotazione e carico assiale sostenuto dalla RUD (articolazione radio-ulnare distale), ovvero un trauma diretto sul comparto ulnare del polso in deviazione radiale o un disturbo cronico e costante associato a condizioni di stress meccanico sulla RUD. Frequentemente il trauma, che può produrre la lesione del TFCC (Triangular Fibrocartilage Complex), si realizza con un meccanismo di iper-estensione del polso associato a rotazione dell’avambraccio e carico assiale, come in occasione di una caduta sulla mano atteggiata a difesa, ovvero in seguito a una brusca torsione del polso. Il sintomo principale è rappresentato dal dolore localizzato nel comparto ulnare del polso ed esacerbato dai movimenti di prono-supinazione dell’avambraccio.

Talvolta il dolore può essere scatenato da movimenti del polso in deviazione radio-ulnare e può essere accompagnato da sensazione di scatto o scroscio intra-articolare. Il dolore può abbinarsi a impotenza funzionale nelle attività di rotazione contro resistenza. nei casi di disturbi degenerativi, il carico assiale sulla mano scatena violento dolore e comporta immediato cedimento antalgico. L’esame clinico prevede la valutazione dell’escursione articolare passiva e attiva nei movimenti di flesso-estensione, deviazione radiale e ulnare e prono-supinazione. In presenza di una patologia del TFCC, è presente una limitazione della prono-supinazione, con dolore ai gradi estremi dell’escursione articolare durante la mobilizzazione passiva.

Le tendiniti dell’estensore ulnare del carpo

Sono collegate a meccanismi micro-traumatici e in genere hanno la caratteristica di una tenosinovite ipertrofico- essudativa. Infatti, vista la presenza di una guaina sinoviale, non vi sono marcati fenomeni di iperplasia fibrosa, come invece accade nelle tenosinoviti stenosanti.

Queste forme patologiche non hanno sempre una chiara patogenesi meccanica e anche il substrato istopatologico non è spesso nettamente definito. Infatti si manifestano molto spesso con un’impronta essudativa sierosa, ma pure frequenti sono i casi con essudazione fibrinosa e notevole iperplasia sinoviale. In ogni modo, le tenosinoviti ipertrofico-essudative mostrano un maggiore carattere di acutezza rispetto a quelle stenosanti (a scatto, ndr). Dal punto di vista clinico la sintomatologia si caratterizza per la presenza di dolore e in alcuni casi di una tumefazione dolorosa in corrispondenza del versante ulnare del carpo (testa dell’ulna). Il dolore è esacerbato dalla supinazione isometrica forzata. è chiaro come la sollecitazione in questa sede sia incrementata da impugnature volte alla ricerca di rotazioni estreme come nella western carica, determinante un conflitto ripetuto tra ulna e carpo che nella parte finale del gesto si trasla verso il distretto radiocarpico opposto (Tagliafico et al., 2009).

Analoga valutazione può essere fatta nella gestione dei colpi di rovescio e, di conseguenza, sulla presa eastern con conflittualità radio o ulno-carpica nella ricerca dello spin in top o del back. Le prove disponibili supportano un’associazione tra dolore ulnare al polso non dominante e l’uso del rovescio bimane (Kibler & Safran, 2005). ad esempio, diversi studi hanno descritto un’associazione tra il rovescio a due mani e le fratture da stress dell’ulna esclusivamente nel polso non dominante (Retting, 1983; Fragnière, Landry & Siegrist, 2001; Balius, 2010; Bell & Hawkins, 1986; Bollen, 1993).

Allo stesso modo, Montalvan e colleghi (2006) hanno osservato – in tennisti ligi a tale impostazione tecnica – la maggior parte dei casi di instabilità del tendine della eCU (10 su 12) e la sua rottura (2 su 2), con carichi di supinazione del polso suggeriti come fattore causale. a primo acchito, l’idea di associare le suddette lesioni a supinazione eccessiva (Rettig, 1994; Bollen & al., 1993; Campbell et al., 2013) può sembrare controintuitiva poiché una rapida pronazione è comunemente impiegata per agevolare la produzione di topspin (Elliott, 2006).

Il colpo piatto riduce la possibilità di conflitto ma chiaramente tende ad annullare l’effetto della rotazione, elemento sempre più ricercato nel tennis odierno a ogni livello e tendente a influenzare anche le tecniche costruttive della racchetta stessa. Un parallelo può essere naturalmente fatto nella conduzione del gesto del servizio. anche qui imprimere uno slice alla palla farà facilmente confliggere le strutture sopra riportate, così come la gestione in kick dell’impatto sulla pallina aumenterà la componente cinetica in flessione anteriore così da sollecitare le strutture dorsali in distrazione e le ventrali in impatto. Traumi ripetuti di questo tipo, come succede naturalmente più spesso negli agonisti, favoriscono la degenerazione e la rottura a distanza delle componenti cartilaginee o tendinee.

Un discorso similare vale ovviamente per i colpi in smash, a favore dei quali va in ogni caso ricordata la minore frequenza durante l’attività tennistica.

La racchetta

Fattore importante per ottenere un gesto efficace che riduca al contempo il rischio patologico resta quello di verificare che lo sportivo abbia una ottimale presa sul manico della racchetta: ne segue la necessità di fornirgli un manico corretto e adeguato per dimensioni alla struttura della sua mano, fatto non del tutto così scontato come potrebbe sembrare (figura 1).

La presa corretta è il primo momento di approccio all’attrezzo e una sua errata e prolungata gestione non può che portare a fatti tendinitici, spesso cronici e di lunga gestione. Peraltro è necessario ricordare come la presa di forza su un oggetto cilindrico contribuisca a mettere in tensione il complesso legamentoso che unisce scafoide e semilunare e che nel tempo, iper-sollecitato e usurato, può evolvere in quadri di instabilità del semilunare stesso con rotazione su un piano sagittale volare o dorsale (Futami, Aoki & Tsukamoto, 1993; Guha & Marynissen, 2002; Stark et al., 1977; Nakamura et al., 1996). Materiali costruttivi inadeguati e sbagli nella scelta causano anch’essi microtraumi cronici da vibrazione, che possono concorrere alla flogosi di tendini e nervi. In ciò resta importante una consulenza competente all’atto dell’acquisto, onde evitare di giocare a lungo, come spesso succede, con un attrezzo inadeguato. La gestione di quest’ultimo sarà poi da mettere in carico a un trainer esperto che possa impostare, gestire e controllare costantemente la corretta gestualità tecnica, vero e fondamentale pilastro che può divenire causa di soddisfazioni agonistiche, ma anche, se mal controllato (gesto errato) o maldistribuito (con conseguenti patologie da sovraccarico dovute ad una errata programmazione del training), foriero di prolungati stop a causa di problematiche patologiche conseguenti. ogni programmazione è chiaramente da adattare alle esigenze del singolo: dal giocatore sporadico all’agonista semiprofessionista, il quadro complessivo cambia molto e necessita di adeguati adattamenti.

Figura 1 Le due metodologie (A e B) più frequentemente utilizzate per determinare la corretta ampiezza della presa. La più pratica e funzionale (A) prevede di impugnare la racchetta in condizioni “finite” e posizionare il dito indice della mano libera all’interno dello spazio delimitato dalla punta e dal palmo della mano dominante. Se l’indice si inserisce confortevolmente, la scelta è corretta.

Altri fattori da non trascurare

Parallelamente alle valutazioni più squisitamente tecniche è chiaro come siano da considerare nella gestione complessiva dell’atleta i fattori relativi a età, anamnesi patologica remota e prossima, caratteristiche psicologiche soggettive, percorso sanitario di vita, fattori genetici.

Il tutto va ricomposto in una visione olistica che consideri ogni sportivo come un singolo, che sia avulsa da algoritmi che non tengono più conto di ciò che serve, ma utile per “quella” specifica persona. Lo sport prevede l’apprendimento di una gestualità che non è connaturata all’uomo, che va imparata, gestita e perfezionata nel tempo, così come inquadrata nella vita di ogni giorno affinché divenga gratificazione e non fonte di problemi. Tuttavia, un tennista adeguatamente preparato è raramente predisposto a una patologia infiammatoria degenerativa del carpo in quanto nel corretto gesto atletico il sistema polso-mano si trova su un unico asse con l’avambraccio. Tutto ciò, naturalmente, è superato in un evento traumatico dove il tennista cade appoggiando violentemente il palmo al terreno iper-estendendo il polso (Futami, Aoki & Tsukamoto, 1993).

Lo stesso discorso vale per una caduta su polso flesso. è doveroso ricordare come nelle cadute sulla mano posta o meno a difesa (avambraccio pronato, mano aperta, polso in iper- estensione) o, più di rado, sul dorso del polso, quando l’avambraccio rimane sotto il corpo nella caduta (in tal caso solitamente l’avambraccio è supinato e il polso flesso), la presenza della racchetta costituisce un problema poiché mette in pericolo le prominenze ossee palmari (tubercolo scafoideo, uncino dell’uncinato, pisiforme). nel tennista, comunque, possono verificarsi per il meccanismo di prono- supinazione, come accade nel passaggio dal diritto al rovescio e viceversa, o nella chiusura del servizio, fenomeni tenosinovitici per lo più inserzionali del flessore ulnare del carpo e del suo antagonista, l’estensore ulnare del carpo. La causa principale è la modificazione nella esecuzione del gesto tecnico, in cui l’impatto della palla con il busto in posizione frontale e in flessione ulnare del polso (soprattutto nel diritto) causa una riduzione dello spazio ulno-carpico e un impingement tra la porzione articolare tra il radio e l’ulna (Lisi, 2018). ovviamente, il quadro clinico dipende anche dall’intensità del gioco dell’atleta, sia in termini di tempo impegnato, sia dalla forza impressa durante l’esecuzione del colpo.

La sollecitazione funzionale a tale livello, che si viene a creare sulle strutture muscolo-tendinee ma soprattutto articolari, si riscontra frequentemente in quei tennisti che impattano la palla con il polso anteriore al tronco e in eccessiva pronazione del polso alla fine del movimento, come si evince in figura 2, parte A: il polso sinistro (arto non dominante) è in estensione, mentre il destro (arto dominante) in flessione ulnare. La leva dell’arto superiore (destro e sinistro) è spezzata e il polso esposto a danni: sia nel versante ulnare (compressione e impatto fra ulna, semilunare e piramidale) sia in quello radiale (distrazione del legamento stiloideo radiale e dell’estensore breve e abduttore lungo del pollice).

In figura 2, parte B, invece, è illustrata la posizione ideale (forse biomeccanicamente meno vantaggiosa ma sicuramente più sicura della precedente). Il tennista, in estrema sintesi, mantiene i segmenti avambraccio-polso in linea: trattasi di una scelta meccanicamente corretta. In questo modo, flessori, estensori, abduttori e adduttori sono in una situazione di equilibrio per eseguire l’azione.

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